L’assegno divorzile dopo la sentenza a Sezione Unite della Cassazione 11 luglio 2018 n.18287
L’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio (Legge 1.12.1970 n.898) stabilisce espressamente che “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
L’art. 5, comma 8, della predetta legge stabilisce, altresì, che “su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal Tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico”. E’ possibile che ciò avvenga anche con l’assegnazione di un bene.
Presupposto dell’assegno divorzile è quindi, l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante.
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La Suprema Corte aveva sempre ritenuto che il parametro di riferimento sul quale fondare il giudizio di “adeguatezza” o meno dei “mezzi” del coniuge istante fosse rappresentato dal “tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto” e che “la liquidazione in concreto dell’assegno va compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del reddito di entrambi, valutandosi tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio” (tra le tante, Cass. 9.6.2015 n.11870).
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Con sentenza del 10.5.2017, n. 11504, il Supremo Collegio aveva ritenuto tale orientamento “non più attuale”, in quanto “con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economico-patrimoniale sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale”.
Secondo tale pronuncia del S.C., “la complessiva ratio dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970 (diritto condizionato all’assegno di divorzio e – riconosciuto tale diritto -determinazione e prestazione dell’assegno) ha fondamento costituzionale nel dovere inderogabile di «solidarietà economica» (art. 2, in relazione all’art. 23, Cost.), il cui adempimento è richiesto ad entrambi gli ex coniugi, quali «persone singole», a tutela della «persona» economicamente più debole (cosiddetta «solidarietà post-coniugale»): sta precisamente in questo duplice fondamento costituzionale sia la qualificazione della natura dell’assegno di divorzio come esclusivamente “assistenziale” in favore dell’ex coniuge economicamente più debole (art. 2 Cost.) – natura che in questa sede va ribadita -, sia la giustificazione della doverosità della sua «prestazione» (art. 23 Cost.)”.
Secondo tale orientamento giurisprudenziale l’accertamento nella fase dell’an debeatur attiene esclusivamente alla persona dell’ex coniuge richiedente l’assegno come singolo individuo, cioè senza alcun riferimento al preesistente rapporto matrimoniale.
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Con sentenza del 11 luglio 2018, n. 18287 le Sezioni Unite del Supremo Collegio discostandosi dai precedenti orientamenti giurisprudenziali forniscono una nuova interpretazione dell’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio
ravvisando nell’assegno di divorzio non più un mezzo per consentire al coniuge il ripristino del tenore di vita goduto nel matrimonio e neppure uno strumento meramente assistenziale per assicurare al coniuge privo di mezzi un’esistenza libera e dignitosa, ma uno strumento che ha sì una funzione assistenziale ma anche una funzione compensativa e perequativa consentendo al coniuge più debole di ricevere quanto ha dato in concreto durante il matrimonio per la realizzazione della vita familiare.
Il Giudice, pertanto, nel determinare il quantum dell’assegno di divorzio deve tenere conto, oltre che delle condizioni dei coniugi e delle ragioni della decisione, anche del “contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto“.
Il Giudice deve accertare “se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata, fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell’altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche in relazione all’età del coniuge richiedente ed alla conformazione del mercato del lavoro”.
In tal modo l’attribuzione dell’assegno divorzile “assicura tutela in chiave perequativa alle situazioni caratterizzate da un dislivello reddituale conseguente alle comuni determinazioni assunte dalle parti nella conduzione della vita familiare“.
I principi espressi dal S.C. nella sentenza dell’11.7.2018. n.18287, sono applicabili a tutti i processi già pendenti ed avviati prima della pronunzia stessa.
Pertanto, l’ex coniuge che ne abbia interesse potrà chiedere, attraverso la modifica delle condizioni di divorzio, la revoca o la rideterminazione dell’assegno precedentemente concesso.