Sanatoria di un atto di vendita in corso di causa

SANATORIA DI UN ATTO NULLO PER ASSENZA DELLE PRESCRIZIONI DI NATURA URBANISTICA

Con la sentenza emessa in data 30.11.2016-19.1.2017, n. 1362 la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza con la quale la Corte di Appello di Napoli aveva rigettato l’appello proposto da un assistito del nostro studio legale avverso la sentenza del Tribunale di Napoli che, di ufficio, aveva dichiarato la nullità ” dello “atto di compravendita” di immobili oggetto di una scrittura privata, della quale si era chiesto in via giudiziale di accertare la validità ed efficacia ex art. 2702 c.c..

All’uopo, esaminando l’appello di cui si discute, la Corte di Appello di Napoli aveva dedotto che, secondo il disposto di cui all’art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, gli immobili costruiti in epoca anteriore al 2 settembre 1967 erano liberamente commerciabili, qualunque fosse l’abuso edilizio commesso dall’alienante, a condizione che nell’atto pubblico di trasferimento, risultasse inserita una dichiarazione sostituiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o da altro avente titolo, attestante l’inizio dell’opera in data anteriore al 2 settembre 1967, con la conseguenza che secondo quanto affermato dai Giudici di secondo grado “correttamente il primo Giudice, nel rilevare la mancanza della succitata dichiarazione nella scrittura privata stipulata tra le parti in causa”, avrebbe “sancito la nullità della compravendita ai sensi dell’art. 1418, III co. c.c. stante il granitico orientamento della Giurisprudenza di legittimità”.

In proposito i Giudici di appello avevano anche affermato che: “ai fini della nullità formale di un atto di trasferimento immobiliare, per mancata osservanza delle disposizioni di cui agli artt. 17 e 40 della legge 47 del 1985”, sarebbe stato “sufficiente”, secondo quanto ritenuto da quei Giudici, che si riscontrasse la mancanza nell’atto degli estremi della licenza (o concessione) ad edificare, a prescindere dalla reale esistenza di essa, ovvero che si rilevasse la mancata indicazione nel medesimo atto della concessione rilasciata in sanatoria e per le opere iniziate anteriormente al 1° settembre 1967, la mancata dichiarazione sostituiva di atto notorio, attestando che l’opera era iniziata prima di quella data, non rilevando che tali indicazioni compaiano in altri atti, connessi alla compravendita ma da questa formalmente distinti”.

Sulla base di tali affermazioni e senza tenere conto dell’atto unilaterale contenente le prescritte dichiarazioni urbanistiche depositato in sede di gravame dal nostro assistito nella stessa forma utilizzata per l’atto di compravendita, la Corte di Appello aveva, pertanto, concluso ritenendo ed affermando che: “le contestazioni svolte nel gravame” sarebbero risultate “destituite di qualsiasi fondamento giuridico, in quanto una compravendita di immobile per spiegare i suoi effetti giuridici deve essere corredata di tutte le prescrizioni normative al momento della stipulazione e quindi senza possibilità di successiva integrazione, perché è in quel momento che i contraenti concretamente manifestano la volontà di trasferire la relativa proprietà sul presupposto di un valido atto negoziale”.

Con l’unico motivo di censura della predetta sentenza dei Giudici di Appello, è stata dedotta la avvenuta violazione nel caso di specie, delle disposizioni di cui artt. 2643 e segg. c.c., degli artt. 2702 e segg. c.c., degli artt. 1470 e segg. c.c., dell’art. 1418 c.c., dell’art. 1423 c.c., dell’art. 1444 c.c., degli artt. 17, 21 e 40 della legge 28.2.1985, n. 47 e degli artt. 99, 112 e 115 c.p.c..

Cassando l’innanzi indicata sentenza ed in accoglimento di quanto dedotto e richiesto dal nostro assistito, la Corte di Cassazione ha affermato che: “il motivo è, per quanto di ragione, fondato”, rilevando, a sostegno della pronuncia in concreto emessa, che: “ la nullità prevista dagli artt. 17 e 40 della legge n. 47 del 1985 (omessa dichiarazione degli estremi della concessione edilizia dell’immobile oggetto di compravendita, ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatori) riveste carattere formale (e non meramente virtuale), riconducibile, per l’effetto, nel sistema generale delle invalidità, all’ultimo comma dell’art. 1418 cod. civ., attesane la funzione di tutela dell’affidamento dell’acquirente, con la conseguenza che, ai fini della sua legittima predicabilità, è sufficiente che si riscontri la mancata indicazione nell’atto degli estremi della concessione, senza che occorre interrogarsi sulla reale esistenza di essa e, con la conseguenza, ancora, che la eventuale conferma, pur prevista dalla citata legge 47 del 1985, deve risolversi in un nuovo e distinto atto, mediante il quale si provvede alla comunicazione dei dati mancanti o all’allegazione dei documenti, avente i medesimi requisiti formali del precedente, ed in forme che non ammettono equipollenti ”.

Dopo tale premessa la Corte di Cassazione ha precisato che: “una interpretazione nel senso di ritenere non possibile una successiva integrazione dell’atto di compravendita, ovviamente nel rispetto dei crismi formali prescritti dal terzo comma dell’art. 40 della l. n. 47 del 1985 (atto redatto nella stessa forma di quello precedente e contenente la dichiarazione originariamente mancante; effettiva sussistenza della condizione – realizzazione dell’immobile in epoca anteriore al 2 settembre 1969 – al momento della stipula dell’atto originario), rappresenterebbe una lettura abrogativa della menzionata disposizione, disposizione a tenore della quale se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti non sia dipesa dal fatto che la costruzione sia stata iniziata successivamente al 1 settembre 1967, gli atti stipulati possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa o al quale sia allegata la dichiarazione sostitutiva di atto notorio”.

Al riguardo la Corte di Cassazione ha poi, precisato che: “ alla stregua delle considerazioni che precedono, la Corte partenopea avrebbe dovuto esaminare il nuovo documento prodotto in appello dal” nostro assistito “(scrittura privata del 3 ottobre 2008, autenticata da notaio), e scrutinare se tale atto successivo contenesse la menzione che l’opera risultava iniziata in data anteriore al 1 ottobre 1967, menzione omessa nella prima scrittura privata del 1 agosto 1994”.

Dopo tali precisazioni, facendo riferimento al predetto documento, i Giudici di legittimità hanno affermato che: “si tratta evidentemente di produzione ammissibile anche nel giudizio di appello, secondo quanto statuito da questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza 11 novembre 2009, n. 23825; in detta pronuncia, si è infatti enunciato il principio secondo cui la sussistenza della dichiarazione sostitutiva di atto notorio, di cui all’art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, rilasciata dal proprietario o da altro avente titolo, attestante l’inizio dell’opera in data anteriore al 2 settembre 1967, non costituisce un presupposto della domanda, bensì una condizione dell’azione, che può intervenire anche in corso di causa e sino al momento della decisione della lite” con la conseguenza che: “la carenza del relativo documento è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del giudizio” sicchè “sia l’allegazione che la documentazione della sua esistenza si sottraggono alle preclusioni che regolano la normale attività di deduzione e di produzione delle parti e possono quindi avvenire anche nel corso del giudizio di appello, purché prima della relativa decisione” .

Pronuncia questa che ha aperto uno spiraglio giurisprudenziale di notevole attualità e pregio giuridico perché ha superato la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c. ed ha stabilito che la “sanatoria” ex tunc di un atto di compravendita per l’assenza delle dichiarazioni urbanistiche possa avvenire anche in via unilaterale laddove ovviamente trattasi di nullità formale, ed addirittura in corso di causa.