NULLITA’ DELL’AVVISO DI ACCERTAMENTO EMESSO SENZA INSTAURAZIONE DEL CONTRADDITTORIO EX ART. 12 SETTIMO COMMA DELLO “STATUTO DEL CONTRIBUENTE” IN MATERIA DI IVA ALL’IMPORTAZIONE
Con sentenza dei 13.11-4.12.2013, n. 347/52/13, la Commissione Tributaria Regionale di Napoli, Cinquantaduesima Sezione, ha accolto l’appello proposto da un cliente del nostro studio avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli che non aveva esaminato l’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento, relativo al recupero dell’iva all’importazione per oltre due milioni di euro, per l’intervenuta violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, ovvero dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale prima dell’emissione dell’atto impositivo.
Ed, infatti, esaminando la controversia oggetto di giudizio, i Giudici Tributari di secondo grado hanno, in primo luogo, precisato, in forza dei principi affermati in materia dalla Corte di Cassazione che: “in punto di diritto, è noto che, in materia di tributi doganali, l’invito al pagamento rappresenta l’atto attraverso il quale l’Amministrazione finanziaria, esaurita la propria attività di accertamento, esteriorizza gli esiti di tale controllo, rendendo edotto il contribuente della maggiore pretesa avanzata nei suoi confronti ed invitandolo ad assolvere il proprio debito verso l’erario, pena l’avvio della procedura esecutiva, ed è inquadrabile nell’ambito delle decisioni doganali, che, ai sensi dell’art. 4 n. 5 del codice doganale comunitario, ricomprendono qualsiasi determinazione che intervenga su un caso particolare in funzione impositiva o procedimentale”.
Dopo tale precisazione quei Giudici hanno affermato che: “avuto riguardo ai dati normativi vigenti ratione temporis, va osservato che effettivamente il comma 7 dell’art. 12 cit. stabilisce che, dopo il rilascio di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni, osservazioni e richieste che devono essere valutate dagli uffici impositori”, con la conseguenza che “l’atto impositivo non può essere emanato prima della scadenza di detto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”, evidenziando, altresì, che: “la previsione di tale contraddittorio nella fase istruttoria” costituiva “espressione del principio di cooperazione tra contribuente e Fisco, cui si ispirano le norme dello Statuto del contribuente, volte ad indirizzare il comportamento di entrambi i soggetti del rapporto di imposta verso la corretta applicazione delle disposizioni fiscali”.
In proposito la Commissione Tributaria Regionale, esaminando il rilievo della Agenzia delle Dogane, appellata in quella sede, secondo cui “la previsione citata non varrebbe con riguardo all’attività di verifica doganale, atteso che questa, in linea di principio, non avviene mediante accessi ed ispezioni direttamente presso la sede del contribuente”, ha, in primo luogo, affermato che: “in fatto, emerge che nella specie l’azione di recupero de quo si fonda sulle risultanze di complesse indagini svolte dalla Polizia Tributaria, avvalendosi dei poteri di accesso, ispezione e verifica anche presso la sede della contribuente, per cui non può sostenersi che si era trattato di una verifica effettuata solo a tavolino presso gli uffici Doganali”.
In secondo luogo, i Giudici Tributari di appello hanno dedotto a fondamento della pronuncia emessa che, per effetto dell’intervento della Corte di Giustizia Europea (Corte di Giustizia CE 18.12.2008, in causa C- 349/07 caso Sopropè), era stato ribadito, nello specifico, che <il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo; in forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la sua decisione, a tal fine essi devono beneficiare di un termine sufficiente>”. Principio questo che, come riconosciuto ed evidenziato dalla Commissione Tributaria Regionale nella sentenza indicata sulla base dei rilievi sollevati dal cliente del nostro studio, era stato condiviso anche dalla Corte di Cassazione (V. sentenza n. 14105/2010) che, facendo riferimento all’art. 12 co. 7 della legge n. 212/2000, quale norma di riferimento che regolamenta il contraddittorio preventivo tra il contribuente e l’erario, generalmente inteso”, aveva espressamente stabilito che: “il diritto al contraddittorio e di difesa nella fase amministrativa, pur non essendo esplicitamente riconosciuto dal codice doganale comunitario, si evince dalle espresse previsioni dell’art. 11 cit. e costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo”, con la conseguenza che “il citato art. 12 va applicato e rispettato nell’ambito dell’istruttoria doganale, senza che rilevi il fatto che la verifica si sia svolta negli uffici della Dogana che, in tutto o in parte, presso la sede della contribuente”.
Ad ulteriore sostegno dell’applicabilità al caso di specie della disposizione normativa indicata, i Giudici Tributari di appello hanno affermato, altresì, quanto segue: “va infatti condiviso quanto autorevolmente affermato anche in dottrina, ossia che la disposizione prevede “in ogni caso” il contraddittorio con il contribuente; invero, il bisogno per il contribuente di interloquire sull’accertamento sussiste tanto nel caso di accesso presso la sede della sua attività, quanto nell’ipotesi di istruttoria in ufficio; anzi a ben vedere, nel caso in cui l’indagine non sia svolta presso il contribuente potrebbe essere mancata ogni occasione di contatto con gli operatori e, conseguentemente, lo scambio di informazioni e l’esposizione di ragioni difensive: in tali casi l’esigenza di consentire un contraddittorio anticipato dovrebbe essere ritenuta addirittura maggiore”.
All’uopo, come evidenziato nelle difese spiegate, l’obbligo del contraddittorio non può essere soddisfatto dalla mera facoltà offerta al contribuente di contestare in sede di ricorso amministrativo un provvedimento già emesso; la contestazione successiva e la possibilità di ricorrere in sede pre-giurisdizionale non sono idonei ad assicurare al contribuente un’adeguata partecipazione, finalizzata ad un’istruttoria completa ed efficiente: il contraddittorio non può che precedere l’adozione del provvedimento, invero la mera previsione della possibilità per il contribuente di ricorrere in sede amministrativa consentirebbe, esclusivamente, un’esposizione ex post delle proprie ragioni e non una partecipazione effettiva, finalizzata a una piena istruttoria, antecedente all’emanazione dell’atto impositivo”.
In proposito, sempre facendo riferimento ai principi affermati dalla Corte di Cassazione (cit. sentenza n. 14105/2010), i Giudici Tributari di appello hanno precisato che: “la norma di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 374/1990 esprime un grado di tutela del contribuente minore rispetto a quello assicurato dalla regola fissata dall’art. 12 co. 7 dello Statuto del contribuente; è noto altresì che in tal senso si è anche orientato il Giudice delle leggi (cfr. Corte cost. 24.7.2009, n. 244) che ha già suggerito un percorso ermeneutico alternativo a quello seguito dalla Corte di Cassazione nel 2008, sull’assunto che le norme sulla sequenza procedimentale amministrativa tributaria e sul contenuto essenziale dell’avviso di accertamento sono a presidio della legalità del procedimento e della funzione che ad esso affida il Legislatore e non possono essere relativizzate in nome della possibilità di difendersi egualmente in un momento successivo”.
Sulla base di tali considerazioni pienamente legittime in punto di diritto espressamente indicate negli atti difensivi del nostro cliente, quei Giudici Tributari sono, quindi, addivenuti alla conclusione secondo cui: “in definitiva, deve ritenersi, alla luce dei principi sanciti dalla più recente giurisprudenza comunitaria e nazionale al riguardo, che la memoria di cui all’art. 12 co. 7 cit. rappresenti la sede per eccellenza in cui un contribuente, nei cui confronti siano state mosse delle contestazioni nell’ambito di un P.V.C., può offrire delle giustificazioni o comunque delle argomentazioni, a confutazione dei rilievi mossi a suo carico”, tant’è che, come evidenziato dagli stessi Giudici, “non è caso, d’altra parte che il Legislatore abbia successivamente adeguato anche la disciplina degli accertamenti doganali ai suddetti principi” con la previsione di cui all’art. 92 D.L. n. 1/2012 convertito nella legge n. 27/2012.
Tanto puntualizzato ed osservando che “nella specie l’atto impugnato si inserisce nelle attività di controllo che le Autorità statali sono tenute ad adottare per scongiurare operazioni fittizie e fraudolente degli operatori”, la Commissione Tributaria Regionale ha accertato ed affermato che: “risulta dagli atti che il rispetto del diritto al contraddittorio non è stato, secondo quanto allegato dall’appellante e non contestato dall’appellata, pienamente tutelato attraverso la partecipazione della società contribuente alla contestazione esposta nei suoi confronti all’interno del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, risalente a meno di due mesi prima della notifica dell’avviso di pagamento; non risulta infatti che in tale sede sia stato richiamato il diritto del contribuente a rendere osservazioni sulla contestazione entro il termine di sessanta giorni alla stregua dell’art. 12 cit.”.
Alla luce di tale situazione di fatto emergente dagli atti di causa, quei Giudici Tributari, facendo riferimento anche al principio espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza del 29.7.2013, n. 18184, hanno, quindi, affermato che: “la nullità dell’atto impositivo, non preceduto da idoneo contraddittorio, si impone a prescindere da ogni valutazione in merito alle difese che il contribuente avrebbe potuto svolgere”, precisando, altresì, che: “soprattutto nella specie, stante l’ambiguità delle risultanze documentali ed i contrasti interpretativi concernenti l’istituto stesso del deposito IVA (in merito alla rilevanza dell’effettiva introduzione materiale dei beni nel deposito e alla necessità di tempi minimi di permanenza della merce all’interno del magazzino), su cui in questo giudizio le parti hanno lungamente dibattuto, non si vede come possa negarsi l’utilità dell’instaurazione, in via preventiva, del contraddittorio tra contribuente ed Amministrazione, contraddittorio che – come ben noto- ha una duplice funzione, da un lato quella di tutela delle ragioni e del diritto di difesa del contribuente (funzione difensiva), ma altresì, dall’altro, quella di strumento per la realizzazione di una più precisa istruttoria da parte della Pubblica Amministrazione (funzione collaborativa)”
Principio questo espresso dalla Giurisprudenza Tributaria di merito, oggetto di ampio dibattito, che è stato confermato anche dalle recenti pronunce, pure a Sezioni Unite, della Corte di Cassazione che hanno ribadito il concetto che, in materia di accertamento di tributi armonizzati (per es. IVA), alla mancata instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale consegue la nullità dell’avviso di accertamento, come di fatto sostenuto dal cliente del nostro studio nel giudizio di merito sulla base di condivise argomentazioni logico- giuridiche.