L’antico istituto del “livello” e la sua usucapibilità

Molti Comuni italiani, al fine di incamerare somme e contestualmente regolarizzare situazioni amministrative non più perseguite negli anni passati, stanno chiedendo a proprietari di immobili (sempre o molto spesso ignari) il pagamento di somme per l’affrancamento di immobili o per la corresponsione di antichi canoni o “livelli”, ai valori aggiornati, in forza della esistenza su tali immobili di antichi  “livelli” o privilegi enfiteutici.

A tal riguardo il Tribunale di Napoli, con sentenza dei 13851 del 27.12.2016, ha precisato che il termine ‘livello’, deriva da libellus, con la quale espressione veniva indicata la scrittura, e cioè lo strumento contrattuale con riferimento a vari tipi di rapporti. Nella successiva evoluzione storica fino al secondo dopoguerra, i nomi ‘livello’ ed ‘enfiteusi’ vennero promiscuamente adoperati nell’uso comune, per modo che i due istituti, pur se originariamente distinti, finirono in prosieguo, già prima delle codificazioni moderne, per confondersi ed unificarsi, con la conseguente estensione anche ai livelli della generale disciplina sulla enfiteusi (così Cass. 1682/1963; Cass. 1366/1961).

Tanto sotto il vigore dell’abrogato codice civile del 1865 che sotto quello del codice civile vigente,  l’enfiteusi si configura come un diritto reale di godimento a favore del concessionario o utilista sul fondo che rimane di proprietà del concedente, che si usa denominare titolare del dominio diretto (e da qui il termine “direttario”). Pertanto, mentre è possibile (art 970 cod. civ.) la prescrizione per non uso del diritto del concessionario, il dominio diretto è, invece, imprescrittibile.

L’omesso pagamento del canone, per qualsiasi tempo protratto, non giova a mutare il titolo del possesso, neppure nel singolare caso che al pagamento sia stata attribuita dalle parti efficacia ricognitiva (Cass. 323/1973, Cass. 2100/1960 e 177/1946).

L’enfiteuta riveste la qualità di possessore, in quanto possiede in nome proprio il diritto reale sulla cosa per cui esercita il suo potere fisico e, non essendo possessore a titolo di proprietà, assume la veste di detentore nei confronti del concedente, il quale, a propria volta, e privo dell’elemento di fatto del proprio possesso (corpus possessionis), inerendo questo al concessionario che non disconosca il diritto altrui.

Pertanto, concorrendo sulla medesima cosa un possesso a titolo di enfiteusi e un possesso a titolo di proprietà, il possesso dell’enfiteuta – che difetta dell’animus domini, e limitato all’uso e al godimento della cosa altrui ed e perciò diretto allo specifico fine corrispondente al contenuto proprio del diritto reale limitato che lo qualifica – è idoneo all’acquisto per usucapione della proprietà solo nei casi in cui sia intervenuta una interversio possessionis, che deve coesistere non in un atto di semplice volizione interna, ma deve esteriorizzarsi in modo inequivocabile e riconoscibile, sì da rendere avvertiti che il detentore ha cessato di possedere nomine alieno ed ha iniziato un possesso per conto ed in nome proprio (Cass. 4231/1976; principio affermato anche in tema di usufrutto da Cass. 1546/1963 e Cass. 561/1953).